Marte occupa da sempre un posto d’elezione nelle opere di fantascienza quale ambita meta da conquistare, esplorare, eleggere a nuova dimora, ma quello che decadi addietro rappresentava un viaggio fantastico, oggi rientra nel campo della scienza svincolata dalla narrativa di genere. Solo di recente Venere ha scippato al Pianeta Rosso l’attenzione mediatica, eccitando gli animi e le menti per via della presenza di fosfina in atmosfera, ma se questo avrà ripercussioni anche nella fiction è davvero prematuro dirlo, quello che è certo è che Marte è ancora la meta del desiderio al cinema come nelle serie, e l’ultimo prodotto in ordine cronologico è Away di Netflix che arriva a un anno di distanza da The First, altra serie con al centro della narrazione l’ammartaggio, ma mentre la serie targata Hulu si è rivelata essere un family drama meramente incorniciato dall’anelito allo spazio, Away è uno space drama propriamente detto, e in quest’ottica è riuscita a evitare tutte le buche narrative in cui sono caduti prodotti affini.

away

Emma (Hillary Swank) è il comandante del team internazionale la cui missione è di quelle epocali: permettere al genere umano di toccare per la prima volta il suolo marziano grazie a un’impresa congiunta di tutte le super potenze del globo. Progetto storico dal punto di vista scientifico e politico, ma soprattutto fondamentale per le future generazioni che beneficeranno delle nuove conoscenze sulla nascita e sviluppo della vita, punto di partenza per occuparci al meglio nel nostro pianeta e contestualmente ambire concretamente all’esplorazione dello spazio come prima sarebbe stato concepibile solo nei libri di fantascienza.

Il termine ricorrente per descrivere le persone a bordo dell’Atlas in partenza verso Marte è “eroe”, ma non a caso diceva Scott Fitzgerald: “Mostratemi un eroe e vi scriverò una tragedia”. Emma e i membri dell’equipaggio sono presentati al pubblico attraverso toni epici, ma vediamo bene che ciascuno di loro è un essere umano che nessuno può sufficientemente preparare a un viaggio senza precedenti che testa tutti i limiti umani in modo estremo e imprevedibile. Anche notando questo aspetto, però, va sottolineato che è proprio in quest’ambito che la serie difetta in credibilità: non è possibile che, pur considerando le attenuanti dovute all’eccezionalità della missione, dopo anni di preparazione certosina a livello fisico, tecnico, psicologico ed emotivo irrompano più o meno prepotentemente conflitti e vulnerabilità non appena la navicella abbandona l’orbita terrestre. Non è plausibile che la squadra formata e programmata per stare insieme e fare gruppo sia immediatamente così pronta a mettere in discussione l’autorità della comandante e, conseguentemente, a saltare la catena di comando.

Passando sopra tutto questo, la serie si fa perdonare. Le storyline si dividono geograficamente tra ciò che accade a terra, all’interno della famiglia di Emma e in mission control, e le sfide nello spazio, ma si rincorrono e intersecano tematicamente ed emotivamente nel corso dell’intera stagione. E qui vine fuori la forza di Away: la componente family non cannibalizza mai quella dedicata alla missione, l’umanità dei personaggi è sempre centrale ma lo spazio non è una semplice cornice, bensì un luogo narrativo straordinario e mozzafiato: possiamo godere di due splendide space walk  inserite chirurgicamente al momento opportuno quando la storia aveva bisogno di aprirsi al sense of wonder e ricordare, tanto ai personaggi quanto agli spettatori, perché l’anelito alle stelle è insopprimibile nell’animo umano.

away josh charles

Away non è una serie concepita per farsi notare sbracciandosi in direzione emmys, ma finora è una delle poche ad aver messo in campo delle scelte di casting inclusive, con un occhio molto attento alle disabilità, evitando che suddette scelte si traducessero in una lista political correct con una serie di voci da spuntare. Ogni personaggio ha un valore narrativo e una backstory precisa e ben elaborata, utile sia a mettere a fuoco il personaggio stesso, che al suo inserimento nel gruppo che, puntata dopo puntata, si riassesta e si ricalibra in funzione di una conoscenza sempre più profonda rinsaldata anche dai mille ostacoli, da diatribe e incomprensioni che inevitabilmente si frappongono tra la missione dell’equipaggio e il raggiungimento della stessa.

L’attenzione dedicata ai protagonisti trova la sua massima espressione nella scelta di girare le puntate monografiche nella lingua madre del personaggio preso di volta in volta in esame, e questa direzione non solo ha pagato in termini di tridimensionalità, ma ha anche consentito di trasmettere l’idea della cooperazione internazionale tra le varie superpotenze: ogni prodotto del genere ha finito inevitabilmente per essere imbevuto di patriottismo americano proponendo gli statunitensi quali massima espressione e portavoci dell’intero genere umano, Away si smarca da questa prassi e il gruppo eterogeneo di astronauti, nonostante l’inevitabile sbilanciamento dal lato statunitense, riesce a dare l’impressione di portare su Marte la ricchezza data dall’inclusività.

A queste condizioni, è proprio la storia personale di Emma a risultare la meno interessante: troppo legata e definita dalla maternità, subisce il confronto dei suoi colleghi, in particolare di Lu, l’astronauta cinese protagonista dell’arco narrativo e personale più convincente. La parte famigliare di Emma, più che nel rapporto con la figlia – adolescente standard con problematiche standard – vibra di intimità nel suo legame coniugale con Matt, un efficacissimo e carismatico Josh Charles la cui disabilità viene resa senza drammi, e trattata come un dei tanti elementi che fanno parte di un uomo non definito dalla sua disabilità che è una parte dell’essere anche un ingegnere, un padre affettuoso, un marito innamorato, un amico leale, una mente brillante.

Away è in definitiva un perfetto connubio tra space opera e prime time soap opera, il cui risultato è ottimo intrattenimento.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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